martedì 15 luglio 2014

Alla scoperta della terra dei Ciclopi









"L'unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell'avere  nuovi occhi."  Marcel Proust                                                                                                                               


I Comuni di Aci Castello, Acireale, Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci Sant'Antonio e Valverde (all'epoca Aci Belverde), che facevano parte della “Universitas di Aci”, detta così per indicare l'unità territoriale, politica, morale ed economica della cosiddetta “Terra di Aci”;





"Vetusta", "antichissima" … già nel lontano passato tutti i documenti hanno qualificato con tali aggettivi la cittadina di lunga storia ai piedi della rocca che si protende sul mare: era, all'inizio del millennio appena trascorso, un Castello (un borgo fortificato), anzi il Castello della vasta Città di Aci che si estendeva per largo tratto della costa etnea lungo le pendici dell'Etna e che nel 1092, quando Ruggero il normanno dopo l'intermezzo arabo ricostituì la diocesi di Catania, fu affidata alla guida del vescovo bretone Ansgerio.

Proprio i Normanni  avrebbero legato il loro nome nella tradizione al Castello, del resto le loro caratteristiche di popolo guerriero meglio si attagliano a battezzare questa rupe inespugnabile (almeno finché si combatté senza usare le armi da fuoco) perché protetta dal mare quasi da ogni vento ed unita da ponente alla terraferma con lave difficilmente praticabili. 

Alla base della rupe un posto di guardia selezionava i visitatori che, dopo la rituale rampa di scale, dovevano passare il ponte levatoio prima di salire nel vero e proprio maniero. Più giù il mare, nel lato nord, presentava un comodo, relativamente sicuro ed esclusivo attracco per le barche che lo rifornivano o erano impegnate a portare carichi preziosi in cima.

 Le altre caratteristiche di Castello medioevale derivavano a questa Terra dalla cinta muraria che s'apriva a semicerchio con un raggio di circa 400 metri dalla rupe. I pochi merli ancor oggi rimasti testimoniano la forza della struttura che offriva due porte d'ingresso: porta Catania a sud e porta Messina a nord. 

Il Castello nel tempo accolse alcuni fra i Re che governarono la nostra Sicilia e fu a lungo concesso in feudo nonostante i catanesi, gelosi di quel tempio che aveva nel 1126 accolto le reliquie della loro Santa, chiedessero al Re Alfonso nel 1433 di non cedere più  la bellizza di tali juyellu quali esti lu castellu et locu di jachi a questo o quel barone.

Il 3 agosto del 1531 proprio nel Castello e nella sua cappella,  fu celebrato l'ultimo passaggio di potere dal barone al demanio reale.

 I rappresentanti delle contrade acesi avevano convinto (naturalmente con grosse somme di denaro) il Re a dare loro autonomia gestionale ed il fulcro di questa vita nuova della città fu Aquilia, l'odierna Acireale. 

Lì furono trasferite tutte le attività della Corte cittadina, mentre il Castello rimase solo una contrada di periferia, perdendo poco a poco il fulgore passato e conservandolo solamente nello stemma della città che, fino ad oggi, molte Aci mantengono con orgoglio.

Sul maniero rimase il Castellano, un funzionario spagnolo direttamente dipendente dal Re (e naturalmente ossequiato da tutta la Città), con una piccola guarnigione che, più che altro, vigilava sui carcerati più pericolosi della zona.

All'interno delle mura, ormai in caduta libera, le poche case offrivano riparo ad un centinaio di persone che si stringevano attorno alla chiesetta di S. Mauro il cui culto diveniva la base per la crescita della nuova comunità.

Nel 1647 la terra del Castello si staccò di fatto dalla vecchia Aci grazie a Giovanni Andrea Massa, nobile genovese che si era impadronito di molti feudi della zona sud dell'Etna a ridosso di Catania (S. Gregorio, S. Giovanni La Punta, S. Pietro, Mascalucia etc.) ed aveva pensato di completare il suo Stato con l'acquisizione della marina castellese che gli apriva la possibilità di un commercio via mare tutto suo.

Il duca Massa entrato in possesso del feudo cercò di renderlo funzionale ai propri interessi: tirò su un bel palazzo (dove non andò mai ad abitare) ma soprattutto costruì magazzini, cantina e fondaco per sviluppare le sue attività commerciali. 

Il resto (scaro, popolazione e strutture) già da secoli erano in attività: bisognava rendere autonoma amministrativamente quella gente che già da tempo, staccata dal resto della città di Aci formava una contrada popolata e con proprie tradizioni.

Nacque così l'Università del Castello di Aci e furono reperiti in loco gli uomini (giurati, giudice, capitano di giustizia) che governarono la nuova cittadina.

Intorno al 1748 fu creata in zona allora periferica la Chiesa di S. Giuseppe che nel tempo si è arricchita di dipinti che fanno bella mostra di sé all'interno di una struttura semplice ma ammiratissima nello splendido contesto della Piazza del Castello in cui è stata tirata su. 

Immediatamente dopo l'Unità d'Italia la cittadina cominciò ad allargare i propri insediamenti abitativi fuori dall'antica cinta muraria; nel 1887 quasi ai confini con il territorio di Trezza nacque il cimitero fra le proteste dei proprietari del terreno che, pur prefigurando nelle loro menti il suo futuro valore, non pensavano minimamente al crollo agricolo della zona ed alla trasformazione della società che proprio in quegli anni Verga rappresentava nei Malavoglia. 

E' oggi Aci Castello al centro di un territorio costiero che attira gente o per il turismo di vario tipo che gravita sui tanti alberghi della zona o per lo svago giornaliero offerto dal mare (ormai impera la moda dei bagni in ogni mese dell'anno) e dai tanti locali con programmi variegati che si offrono alla gente dell'hinterland etneo in ogni giorno della settimana.

Il Castello e la Piazza ai suoi piedi (con il vicino municipio) continuano ad essere le mete principali di coloro che non rinunciano alla passeggiata fra mare, sole e panorami incantevoli ma anche gli itinerari delle stradine interne offrono squarci ammirevoli di lavori settecenteschi in pietra lavica o di alberi secolari o di "altarini" fra i ciotoli e le basole di Via Savoia o lungo quartieri e vie che naturalmente sboccano a mare.

Sul Castello, storia e panorama a parte, ci sono da ammirare un piccolo museo civico e le splendide piante grasse dell'orto botanico che fa bella mostra di sé nel giardino pensile.

La parrocchia è intitolata a S. Mauro la cui chiesa, antichissima, è stata ricostruita nel 1961 dopo che un bombardamento l'aveva distrutta (ad eccezione del campanile, eretto nel 1767) il 21 luglio 1943.


ACITREZZA



http://www.comune.acicastello.ct.it/


Nacque Acitrezza come sbocco a mare della città di Aci SS Antonio e Filippo negli ultimi anni del 1600: era allora quel territorio una contrada inabitata e selvaggia dove un'isoletta ed un arcipelago di scogli, sormontato da tre faraglioni, riuscivano a dare qualche riparo alle barche.

I principi Riggio capirono che bisognava popolare quella zona e costruirono le prime case che furono affittate a marinai di zone vicine (e non) incentivati e pronti ad un'avventura dai contorni non certi. 

Furono allestiti il molo, la Chiesa, le due torri per la difesa, i magazzini, il fondaco, la "potega" e nacque anche un'amministrazione locale, oltre naturalmente al parroco (anzi all'arcipresbitero) che era la vera guida del paese: ciò fu ufficializzato nel 1691.

I primi decenni di vita non furono facili ma l'avvedutezza dei Riggio, unita all'intraprendenza commerciale dei più facoltosi catenoti e dei vicini castellesi, fecero di Trezza uno degli scari più importanti della Sicilia a metà del ‘700.

Luigi Riggio aveva fatto edificare dopo il 1730 altre case ed altri magazzini, rendendo inoltre splendido il suo palazzo vicino al mare, oggi praticamente scomparso così come la più grande delle torri di difesa. Aveva poi creato una strada carrozzabile che da Trezza giungeva a S. Maria della Catena e, grazie al suo ruolo di Grande di Spagna ed ai contatti che aveva un po' dappertutto, faceva affluire nello scaro barche di ogni tipo. 

Fu anche  ambasciatore in Francia, e da Trezza, in particolare, partivano persino formaggi etnei per quella illustre sovrana.

 Con quella Nazione in ogni caso i contatti furono frequentissimi. 

Le navi francesi (così come di altre nazioni) giungevano talora direttamente nel porticciolo di Trezza ma più spesso tali contatti avvenivano a Messina. 

Le merci erano portate lì via mare ed imbarcate su bastimenti più capienti. 

Tuttavia non si pensi che le barche che partivano da Trezza fossero di poco conto: i loro occupanti generalmente erano più di una dozzina ed esse erano munite anche di cannoni per difendersi qualora fossero state attaccate dai soliti malintenzionati.

Riggio tentò anche di rendere il porto più sicuro bombardando il lato sud dell'isola e cercando di unirla ai Faraglioni; tutto fu però inutile perché la forza del mare abortì presto i tentativi che occuparono tutto il mese di agosto dell'anno 1748. 

Con il 1800 il commercio cominciò a languire nel porto davanti ai Faraglioni; il mare restava la ragione di vita ma la pesca rendeva davvero poco e le condizioni di vita divennero sempre più precarie nel villaggio che intanto nel 1828 era entrato a far parte del Comune di Aci Castello.

Il 1900 portò, di decennio in decennio, una nuova forza trainante: il turismo. Trezza è così divenuta ricca di alberghi e di locali di intrattenimento e di ristorazione per una folla sempre più varia che affolla ora, soprattutto le notti estive, il Lungomare dei Ciclopi e le sue strade.

La pesca nel dopoguerra è divenuta una forza trainante, anche se deve dividere il mare (e il porto) con la nautica da diporto, e i grossi pescherecci uscendo al largo navigano tranquillamente per l'intero mediterraneo.

Il mercato del pesce è uno dei più importanti della Sicilia. 

Le parrocchie sono due: S. Giovanni Battista, titolare dell'antica (e preziosa) chiesa che guarda il mare davanti al vecchio porto, e la Madonna della Buona Nuova, per il cui culto è stata creata la parrocchia sulla collina di Vampolieri.

E' attesissima ogni anno la festa del Battista con manifestazioni folkloristiche (U pisci a mmari, in particolare) da non perdere.

La passeggiata in barca tra i Faraglioni e l'Isola Lachea nell'Area Marina Protetta è obbligatoria, ma è piacevolissima anche quella tra le viuzze alle spalle ed ai lati della Chiesa del Battista dove, nascosto tra le case, si può ammirare il Bastoncello, una delle due antiche torri di Trezza.


ACIREALE




La città, trae le sue origini dall’antica città greca di Xiphonia. Durante il medioevo, questo borgo si sviluppò attorno al castello di Aci anche se in seguito venne spostato più a nord grazie all’insediamento di alcuni nuclei familiari. Nel Cinquecento la città si specializzò nel commercio, grazie al quale iniziò un lungo periodo di ricchezza e benessere. Nel 1528, per volere dell’imperatore Carlo V, la città divenne ufficialmente un Comune mentre, nel 1642, ottenne il suo nome odierno grazie all’intervento del Re Filippo IV. Nel 1693, a causa di un forte terremoto, la città subì dei gravissimi danni, ma nonostante questo la popolazione si impegnò duramente per ricostruire dei nuovi edifici in sostituzione di quelli distrutti dal sisma. Dal 1861, grazie alla costruzione del famoso stabilimento termale S.VeneraAcireale diventò un’importante centro termale frequentato dalla maggior parte dei turisti in visita, soprattutto durante il periodo estivo.





Aci Bonaccorsi è un piccolo Comune della Provincia di Catania, con popolazione di 3.272 abitanti su un territorio di 170 ettari, che si estende sulla collina litoranea a 362 m. di altitudine, in dolce pendio dall'Etna verso il mare. Distante appena 13 Km. dal Capoluogo, il suo clima mite, tipicamente collinare, il verde rigoglioso dei giardini di agrumi, di vigneti, di frutteti caratterizzano questo paese come tranquilla e godibile località residenziale alle porte della grande città.
Le origini storiche di quello che nei "riveli" delle visite pastorali del 1624, conservati nell'archivio storico della Curia arcivescovile di Catania, veniva chiamato "Quartiero delli Bonaccursi di Jaci" vanno fatte risalire alla preesistenza di tre primitivi nuclei abitati consistenti in piccoli gruppi di case distinti e nettamente separati, sebbene non superassero la distanza di non oltre un cinquecento metri l'uno dall'altro. Per questi tre "originari" insediamenti, denominati "Battiati""Pauloti" e"Sciara", che daranno vita agli omonimi quartieri non si può fissare una data di nascita precisa. Tuttavia, è possibile pensarla successiva allo storico e traumatico avvenimento della colata lavica del 1408. Solo più tardi l'arcaico nucleo assunse una conformazione più unitaria con il collegamento di altre due "contrade""Piazza" e "Lavina", sorta anche quest'ultima sulla colata lavica del 1408 e inizialmente "luogo di Eremiti".
La "Piazza", situata in posizione più bassa e centrale, ben presto funge, di fatto, da raccordo tra gli altri agglomerati. La sua origine rimane ancora oggi la più problematica, data la presenza di un elemento importante e fuorviante nello stesso tempo. In essa sorge, infatti, una chiesa dedicata a Santa Maria della Consolazione e a Sant'Antonio Abate, la cui ultima costruzione risale al 1716, ma sul cui portale, però, una sintetica epigrafe parla di "anno mille". Probabilmente il significato dell'iscrizione va dimensionato all'indicazione di "chiesa molto antica", originariamente ubicata di fianco al letto di un torrente (oggi incanalato sotto la strada) che era costellato lungo il suo corso da altre chiese e che sicuramente costituiva un cammino molto frequentato per gli antichi abitanti del "Bosco di Jaci" (Acireale).
La costruzione della Chiesa Madre, negli ultimi anni del sec. XVI, in zona "strategicamente" centrale ai sub-quartieri, dava al Paese l'assetto definitivo e l'aspetto conservato pressapoco fino a oggi. Il nome di "quartiere" riscontrato nei "riveli" si deve alla struttura particolare della città di Jaci di cui "Bonaccorsi" era una delle tante componenti. Il nome "Bonaccursu" dato al Paese, malgrado la maggiore diffusione del cognome "Vattiatu" (da cui "Battiati", denominazione di uno dei più antichi sub-quartieri, come abbiamo scritto, che risponderebbe al significato di "battezzati"), si deve all'importanza e conseguente notorietà "fuori paese" assunta da alcune persone socialmente di spicco, di cognome "Bonaccorso". Come l'autonomia parrocchiale si fa risalire all'epoca della costruzione (1589) della Matrice (in precedenza la Parrocchia dipendeva dal Santuario di Valverde), così si ha pure una data per l'autonomia comunale. È bene, però, ricordare che entrambe le date vanno intese come "verità" approssimative. È del 1652, infatti, un documento che rende nota l'esecutorietà di un altro documento emanato dalla corte spagnola, l'anno precedente, a favore di un Giorgio Esquerra De Roxas, inteso a nominarlo "Marchese di Bonaccorsi". Alla morte di costui, che era stato secondo marito di Donna Francesca Grimaldi, vedova di Don Nicolò Diana, barone di Cefalà (Cefalà Diana, Palermo) e di Jaci, subentrava il figlio del primo marito di Donna Francesca, Guglielmo Diana. Nel 1672, succedendo come nuovi signori di Jaci i Campofiorito ai Diana, il "Marchesato di Bonaccorsi" rimase quale titolo onorifico alla famiglia Diana, anche se la "Terra dei Bonaccorsi" continuò ad essere una delle componenti dello "Stato" feudale di Jaci.

ACI CATENA



Gli Scavi fatti sotto il terreno vulcanico e che hanno fatto venire fuori scheletri, vasi di argilla, amuleti, armi, strumenti di pietra per l'agricoltura, rivelano l'esistenza dell'uomo in questo territorio fin dai tempi preistorici. 

Ed anche in tempi relativamente lontani, non men dei tempi antichissimi, il territorio fu abitato. Anzi è cosa certissima l'esservi state diverse borgate, ed alcune quasi presso lo stesso sito dove adesso sorgono i moderni quartieri: a Cubisia, a Nizeti, nella Chiesa della Corte, a S.Venera del Pozzo, a Reitana, e nel largo tratto fra queste due ultime contrade, si sono rivenuti ruderi di fabbriche, rottami, cocci e vasi di tutte le figure, giare di terra cotta, sepolcri, vasi cinerari, mosaici, monete, statue, e un'intera officina metallica, che rivelano la vetustà di esse e comprovano l'assunto che i siti furono abitati. Aci Catena e le altre Aci si narra che trassero la propria origine da Xiphonia, misteriosa città greca oggi del tutto scomparsa. I poeti Virgilio e Ovidio fecero nascere il mito della fondazione alla storia d'amore tra una ninfa chiamata Galatea ed un pastorello chiamato Aci, e del ciclope Polifemo. In epoca romana esisteva una città chiamata Akis, che partecipò alle guerre puniche.  Curiosamente la cittadina veniva citata in passato come Scarpi (scarpe), mentre la frazione di Aci San Filippo era detta Xacche e quella di Aci Santa Lucia la CubisiaIl sisma del 1693 interessò un’area vastissima della Sicilia orientale: da Messina a Val di Noto. Gli studiosi odierni, grazie alle fonti che ne hanno descritto gli effetti, hanno stimato l'intensità a 7.4 Richter o XI Mercalli. Anche Aci Catena fu distrutta in parte: la chiesa che custodiva una preziosa icona del XV secolo cadde, ma l'altare, la preziosa icona e il simulacro restarono integri. A differenza dei paesi limitrofi, la cronache riportano che l'antica Scarpi ebbe meno di cento vittime. Il popolo catenoto interpretò l'evento come un miracolo che allora attribuì alla Madre della Catena che li avrebbe protetti con il proprio manto. Il culto della Vergine della Catena si è nel frattempo espanso anche ed è ancora praticato anche nelle zone limitrofe. La ricorrenza viene festeggiata annualmente dai fedeli l'11 gennaio.

ACI SANT'ANTONIO



La prima parte del nome (presente anche in Acireale) deriva dal latino Acis flumen, ossia fiume Aci. Secondo alcuni deriverebbe invece dal greco akis ("oggetto appuntito"). La seconda parte si riferisce alla chiesa dedicata a Sant'Antonio Abate.

L'anno 1169 a seguito di una forte eruzione accompagnata da forte scosse di terremoto, gli abitanti lasciarono la parte costiera e si ritirarono in queste amene contrade ricche di boschi e di abbondante legname; qui diedero vita al piccolo borgo di Casalotto.
Nel I 408 questo borgo fu minacciato da una colata lavica che si fermò poco distante dal piccolo borgo; le preghiere degli abitanti a S. Antonio abate scelto come loro patrono e protettore riuscirono a fermare il pericolo.
Lotte interne con la vicina Aquilia indussero gli abitanti di Casalotto e dei borghi vicini a chiedere al viceré di Palermo la separazione da Aquilia Vetere; questa fu ratificata nel 1640 a firma dei luogotenente cardinale Giannettino Doria arcivescovo di Palermo.
L'11 di Gennaio dell'anno 1693 fu un giorno di grande lutto perché un terribile terremoto, di proporzioni mai registrate, distrusse l'intera Sicilia orientale: ad Aci S. Antonio perirono 143 persone e vennero abbattute tutte le chiese tranne quella dei padri mercenari.
Il 1700 fu il secolo d' oro per Aci S. Antonio. Pittori scultori architetti, valenti mastri d' opera si avvicendavano per la ricostruzione e l'abbellimento dei maggiori edifici. Opere pregevoli di questo periodo furono:la chiesa di S. Antonio Abate, quelle di S. Biagio e di S. Michele arcangelo, il palazzo Reggio Carcaci, il palazzo Puglisi il palazzo Gagliani. L' 800 vide consolidarsi la ricca borghesia terriera e lo sviluppo dell'attività commerciale con la vicina città di Catania. Largo impiego in questa attività commerciale ebbe il carretto che fu riccamente ornato da valenti mastri carradori.

VALVERDE



http://www.comunevalverde.gov.it/

Valverde (detta anche Aci Belverde pur se desueta) e le altre Aci trassero la propria origine comune da Xiphonia, misterioso centro greco oggi scomparso.
La storia di Valverde sarà praticamente condivisa fino al XVII secolo con quella degli altri casali del territorio di Aci a cui si può far riferimento.
Sotto il dominio spagnolo, nel XVII secolo, il notevole sviluppo economico di Aquilia Nuova (Acireale) causò contrasti e rivalità con gli altri casali che chiedevano l'autonomia amministrativa. Vi sarà quindi la separazione dei casali di Aci. Nacquero: Aci Bonaccorsi (1652), Aci Castello (1647) (comprendente anche Aci Trezza), Aci S.Filippo ed Aci Sant'Antonio (1628) (comprendente anche l'allora "Aci"Valverde, Aci S.Lucia ed Aci Catena). 
Molti storici dibattono oggi sull'origine dell'antico toponimo bizantino "Vallis Viridis". Il borgo fu chiamato in siciliano "Bedduviddi" (Belverde), e quindi italianizzato, ma non senza polemiche. 
La storia di Valverde fa parte della storia dell'antica Università di Aci. Sul finire del Medioevo, la nascita di Valverde, con ogni probabilità ad opera della popolazione acese che nel tempo lasciava la costa per le scorrerie della pirateria musulmana, avviene attorno ad una edicola della Madonna eretta lungo una delle poche ed insicure strade che attraversavano il bosco di Aci. Le origini di Valverde affondano nella leggenda della fondazione della chiesa di S. Maria. Tale leggenda, riportata per la prima volta nelle Vitae Sanctorum Siculorum di Ottavio Gaetani, narra di un brigante pentito Dionisio e di diverse apparizioni della Madonna nel 1040. E dovè essere la particolare bellezza del dipinto che ingentiliva l'edicola valverdese a far nascere sia la leggenda della sua origine miracolosa ("divinitus picta") sia la notizia dell'erezione della chiesa. Il primo documento che citi Valverde come centro abitato è del 1389. La contrata Sanctae Mariae Vallis Viridis fu in origine una terra di "vigneri" e come una delle tante vigne dei Catanesi sarà annoverata per secoli dagli storici. La terra di Aci si trovava sotto l'amministrazione baronale di Platamone quando nel 1446 (31 marzo) papa Eugenio IV emanava la bolla con 1a quale istituiva la collegiata di S. Maria dell'Elemosina in Catania.
Con tale bolla la chiesa "B. Mariae de Valle Viridi", citata quale "parrochialis ecclesia", veniva ufficialmente riconosciuta come una delle prebende beneficiali della collegiata. Nella seconda metà del '500 la chiesa di S. Maria con la costruzione dell'ampia navata e del campanile assumeva la sua dimensione architettonica ultima. Risalgono a questo periodo i libri più antichi del nostro comune. Sono essi i registri parrocchiali, a cui allora erano tenuti i sacerdoti in ottemperanza alle disposizioni del concilio tridentino: il primo di tali manoscritti è il Liber Baptizatorum, Matrimoniorum et Mortuorum 1578-1603.
Nel corso del Seicento era sancita 1a costituzione della città "amplissima e liberalissima" di Aci S. Antonio e S. Filippo, separata da Acireale: "E lo sabato matina che foron li 10 di detto mese di Xbre (1639), andaro tutti li sopradetti officiali alla beata Vergine di Belverde, dove si cantao il Te Deum laudamus e si sparao una bona salva di mascoli, in ringraziamento della grazia concessali, di haversi separato dall'Aquilia". Nel momento in cui Aci perdeva definitivaniente la sua unità, la nuova città demaniale che compredeva anche Aci Catena, Aci Bonaccorsi, Valverde nasceva nel segno della riconoscenza alla Madonna, che i cittadini eleggevano e nominavano "Patronam Advocatam Protectricem Rectricem et Gubernatricem". Non essendo in grado di versare i 10.000 scudi promessi alla Corona, Filippo IV nel maggio del 1645 ne disponeva la vendita per 36.000 scudi a Niccolò Diana Spinola, marchese di Cefalà. Aci SS. Antonio e Filippo pagava così con l'asservimento baronale i costi della separazione.
Nel 1672, regnando Carlo II di Spagna, Aci SS. Antonio e Filippo passava per 14.600 onze alla famiglia Riggio sotto la cui dominazione sarebbe rimasta per più di un secolo.
Uno dei primi interventi del principe Riggio favorì Valverde, avendo dato egli il suo appoggio alla richiesta dei giurati perché fosse concessa nel nostro "quartiere" per i tre giorni della festa della Madonna la possibilità di vendere e comprare "le cose commestibili e potabili" franche di ogni imposizione.
Il vicerè, principe di Ligny, concedeva il privilegio della fiera franca che veniva così incontro alle "genti dei contorni"' che concorrevano a Valverde "per le numerose gratie" che miracolosamente ricevevano.
Morto Stefano Riggio nel 1678, l'investitura di principe di Aci SS. Antonio e Filippo passò al nipote Stefano Riggio Saladino. Su richiesta di quest'ultimo nel 1688, il vescovo di Catania, mons. Francesco Antonio Carafa, concedeva a padre Clemente da S. Carlo, provinciale degli Agostiniani Scalzi della Provincia di Messina, l'erezione di un "hospitium" (convento) contiguo alla chiesa di S. Maria di Valverde. Il 1693 è l'anno del terremoto.
La scossa del'11 gennaio generò causò distruzioni assai rilevanti all'intera città di Aci SS. Antonio e Filippo. Valverde contò 36 morti. Mentre la chiesetta di S. Maria della Misericordia era completamente distrutta, la chiesa di S. Maria subiva danni ingenti: crollarono i tetti, ma le mura portanti ed il campanile resistettero. "Con meraviglia di tutti" l'immagine della Madonna restò "senza alcuna lesione".
Nel 1694 il convento era già parzialmente costruito e padre Clemente da S. Carlo, nella qualità di priore, ne prendeva possesso giuridico, facendo erigere, a ricordo dell'avvenimento, il pilastro con colonna sormontata da una croce, che ancora oggi delimita la piazza principale del paese. Con la morte di Stefano Riggio Saladino il possesso di Aci SS. Antonio e Filippo passava al figlio Luigi Riggio Branciforte che assai devoto alla Madonna di Valverde volle essere sepolto vicino al suo altare.
Nel 1787 il senato ed il clero "Amplissimae et Fidelissimae Civitatis Acis Regalis" eleggevano la Madonna di "Acis Villis Viridis" patrona della città; nel 1791 anche il senato ed il vescovo di Catania eleggevano la nostra Madonna a "patronam minus principalem" di Catania e della sua diocesi. Intanto il continuo rinnovarsi di contrasti interni tra Aci S. Antonio e Aci S. Filippo-Catena determinava alla fine la costituzione di due comuni, sanzionata da Francesco I, re delle Due Sicilie, con decreto del 21 settembre 1826. Il comune di Aci S. Antonio risultava composto dai quartieri di Aci S. Antonio e Valverde e dalle borgate di Maugeri, Carminello, Casalrosato, Fontana Morgioni, Belfiore, Lavinaio e Monterosso Conseguita l'unità d'Italia, la mutata situazione politica stimolava i Valverdesi a chiedere subito al governo la separazione dal comune di Aci S. Antonio. Il desiderio in quella circostanza non venne appagato poiché al nuovo comune sarebbero mancati i mezzi necessari alla sua autonoma amministrazione.
Nel 1872 Acireale vedeva coronata una vecchia aspirazione con la costituzione di una sua diocesi.
Naturalmente Valverde venne a far parte della nuova istituzione. Nel maggio del 1902 il paese accoglieva festosamente un solenne pellegrinaggio interdiocesano da Acireale e da Catania. All'indomani del memorabile pellegrinaggio, nel 1903, in un clima di operoso fervore veniva fondato il bollettino mensile La Rosa di Valverde che ancora oggi viene puntualemtne stampato. Al termine della prima guerra mondiale seguiranno anni difficili, di persistente malessere sociale.
Di tale periodo, tra i pochi fatti di rilievo, va ricordato l'erezione canonica a parrocchia delle chiese di S. Maria di Valverde e di S. Maria delle Grazie (Maugeri) ad opera del vescovo Salvatore Bella (1921).
L'avvento del fascismo ebbe scarsa eco nella vita del paese che continuò a scorrere nei tranquilli ritmi di sempre. Qualche momento di tensione si verificò soltanto nel 1924 per motivi prettamente locali: infatti, alla notizia che si voleva industrializzare l'acqua di Casalrosato, i Valverdesi tornarono a chiedere il distacco dal comune di Aci S. Antonio.
Ricorrendo nel 1940 il nono centenario dell'apparizione della Madonna a Dionisio, fervevano le iniziative per una solenne incoronazione della sua icona. Quando ormai tutto era pronto, si rimandò il rito perché il 10 giugno l'Italia era entrata in guerra. Finita la guerra, si pensò subito di celebrare il rito sospeso: le particolari circostanze storiche anzi aggiungevano nuovo slancio al precedente fervore. Così il 26 agosto 1945 mons. Salvatore Russo, vescovo di Acireale, a nome del Capitolo Vaticano, incoronava sollennemente l'icona della Madonna.
Nel giugno del 1948 Valverde diveniva di nuovo centro di grandi manifestazioni di fede e di preghiera: il I Congresso mariano della diocesi di Acireale trovava, infatti, nel santuario il suo solenne epilogo. Ora in tutta Italia la volontà di ripresa e di riscatto era resa più decisa dal piacere della libertà e della lotta politica.
Anche Valverde non si contentò più di vivere all'ombra del santuario e delle sue celebrazioni religiose; nuovi bisogni e vecchie aspirazioni si facevano avanti prepotenti. Così quando il comune di Aci S. Antonio stornò i finanziamenti che i Valverdesi erano riusciti a far stanziare per la costruzione di un proprio cimitero, il risentimento della frazione si espresse in una plateale azione rivendicativa. II 7 febbraio 1949 i Valverdesi nottetempo prendevano possesso simbolico del fondo di proprietà di Paolo Licciardello, estirpandovi viti e alberi e piantandovi un cartellone con la scritta "Cimitero".
Si avviava a compimento quello che fino ad oggi è l'ultimo atto dello smembramento dell'antica università di Aci: il 14 aprile 1951 la legge regionale n. 39 sanciva la nascita del comune di Valverde. (Al momento della sua costituzione il nuovo comune veniva ad avere una popolazione di 1641 abitanti su una superfice di km2 5,5).
Il 25 maggio 1952 il popolo di Valverde era chiamato ad eleggere per la prima volta un suo consiglio comunale. Quelli successivi all'autonomia sarebbero stati anni di grande fervore e sviluppo. Nel 1976 il sindaco Vincenzo Gammino, sin dal primo momento alla guida della giunta comunale, festeggiando il venticinquesimo dell'autonomia, consegnava le chiavi di Valverde alla Madonna: un omaggio deferente con il quale la comunità valverdese, come sempre era avvenuto nei momenti significativi del suo passato, tornava ad esprimere alla "sua" Madonna i più profondi sentimenti di filiale riconoscenza.

Nessun commento:

Posta un commento